L’intelligenza emotiva

Edward L. Thorndike definì nel 1920 “intelligenza sociale” l’abilità di base per comprendere e motivare altre persone. David Wechsler, negli anni 40 rese chiaro a tutti che nessun test di intelligenza poteva essere valido se non si teneva conto degli aspetti emozionali. In seguito, lo stesso Howard Gardner avrebbe stabilito le basi dell’idea di settima intelligenza, la cosiddetta intelligenza interpersonale, senz’altro molto simile a quella emotiva. Solo nel 1985 apparve per la prima volta il termine “intelligenza emotiva”, grazie alla tesi di dottorato di Wayne Payne intitolata A Study of Emotion: developing Emotional Intelligence (“Uno studio delle emozioni: sviluppo dell’Intelligenza Emotiva”) e solo 10 anni più tardi, lo psicologo e giornalista nordamericano Daniel Goleman definì il potere delle emozioni e il concetto di “intelligenza emotiva” in generale.
Questa dimensione risponde ad un modo diverso di comprendere l’intelligenza, che va al di là degli aspetti cognitivi – come la memoria o la capacità di comprendere problemi. Si parla, innanzitutto, della capacità di dirigersi in maniera efficace agli altri esseri umani e a sé stessi, di connettersi con le proprie emozioni, di gestirle, di auto-motivarsi, di frenare gli impulsi, di vincere la frustrazione…!
Goleman spiega che il suo approccio all’intelligenza emotiva prevede quattro dimensioni di base:
La prima è l’auto-coscienza, e fa riferimento alla nostra capacità di comprendere quello che sentiamo e di restare attaccati ai nostri valori, alla nostra essenza.
Il secondo aspetto è quello dell’auto-motivazione e della nostra abilità di orientarci verso le nostre mete, di recuperare i contrattempi, di gestire lo stress.
La terza ha a che vedere con la coscienza sociale e con l’empatia.
La quarta dimensione è senz’altro la pietra filosofale dell’Intelligenza Emotiva: la nostra capacità di relazionarci per comunicare, raggiungere accordi e creare connessioni positive e rispettose con gli altri.
Sia nel suo libro Intelligenza Emotiva (1995) che in quello Intelligenza Sociale (2006) l’autore ci spiega che parte di questa capacità risiede nella nostra epigenetica. In altre parole, è possibile attivarla o disattivarla a seconda dell’ambiente emotivo e sociale nel quale si cresce e si viene educati. Pertanto, l’autore segnala la necessità di educare i bambini attraverso questo punto di vista. Che sia a scuola o in casa, tutti dovremmo essere capaci di creare un contesto valido e significativo in termini di risonanza emotiva. Per raggiungerlo, serve forza di volontà, costanza e la capacità di applicare quella coscienza reale che permetta di rendere presenti e costanti le chiavi che il professor Goleman ci indica nelle sue opere: individuare l’emozione che si cela dietro a ciascuna nostra azione; ampliare il linguaggio con cui descriviamo e parliamo dei nostri stati d’animo. Cercare di comprendere le motivazioni che si celano dietro il comportamento degli altri, essere capaci di capire le prospettive e i mondi emotivi altrui. Bisognerebbe inoltre essere capaci di comunicare in maniera assertiva ed imparare ad auto motivarci per raggiungere gli obiettivi che ci siamo preposti.
In conclusione, è bene ricordare che l’intelligenza non è soltanto una cifra ricavata da un test standardizzato, in riferimento all’acclamato QI. Esiste un’altra sfera, un’altra dimensione e un’altra intelligenza che può permetterci di raggiungere il successo. Si parla del successo personale legato alla capacità di gestire comportamenti ed emozioni, entrare in connessione con gli altri, vivere in equilibrio ed armonia sentendosi competenti, liberi, felici e realizzati personalmente.